Ottessa Moshfegh, “Il signor Wu”
Il signor Wu è un uomo di mezza età che vive in una piccola città cinese.
La sua esistenza è definita dalla routine, dalla solitudine e da una profonda insoddisfazione per la propria vita. Vive da solo e non ha legami significativi. È un uomo introverso e riservato, incapace di costruire relazioni autentiche con gli altri.
Il signo Wu è innamorato di una donna che lavora in una sala giochi. I due non si conoscono, ma se la donna lo incontra a volte nei vicoli stretti del mercato lo saluta sempre con gentilezza, chiedendogli come sta, mentre lui risponde borbottando parole incomprensibili.
L’uomo frequenta la sala giochi tutti i giorni per tre o quattro ore, soprattutto di sera. Si sceglie la postazione migliore e osserva la donna. Osserva il suo corpo, i suoi capelli, diventa ai suoi occhi ogni giorno più bella.
Col passare del tempo, la gentilezza della donna alimenta le fantasie del signor Wu. Egli idealizza la donna, immaginando scenari romantici e una possibile relazione con lei.
Le sue interazioni con la donna, tuttavia, rimangono superficiali e imbarazzanti. Nonostante le sue fantasie il signor Wu non riesce a comunicare in modo efficace con lei. È intrappolato tra il desiderio di avvicinarsi e la paura del rifiuto, ma anche dalla consapevolezza, seppur vaga, che le sue fantasie non corrispondano alla realtà.
Il mondo interiore del signor Wu è fatto di pensieri frammentati, desideri incofessabili e una crescente frustrazione. Il contrasto tra il suo mondo ricco di aspettative e la sua realtà esterna desolante diventa sempre più evidente.
Il signor Wu si ritrova ancora più solo, intrappolato nelle sue ossessioni e illusioni. Non c’è una svolta o una risoluzione alle sue difficoltà relazionali: il suo desiderio di vicinanza emotiva, rimane inespresso, e la sua vita torna alla monotonia di sempre, una monotonia temuta ed allo stesso tempo ricercata.
Vivere “nell’ombra” non è sempre una scelta consapevole. Spesso dietro questa condizione si celano paure, esperienze passate deludenti e rifiutanti, insicurezze radicate che negli anni possono aver creato distanze emotive e relazionali sempre più significative tra sé stessi e gli altri.
Il signor Wu è un uomo solo che ha costruito nella sua routine un’apparente stabilità. Apparente in quanto la sua quotidianità è costituita non solo da un senso di solitudine e di incomunicabilità, ma è anche alimentata da una costante ricerca di essere notato, anche per emergere dal suo senso d’isolamento.
L’innamoramento per la donna diventa quindi un modo per uscire dalla prigione che si è costruito nel tempo e l’ ossessione per lei rappresenta un modo per emergere da quel senso di invisibilità e solitudine.
Nel caso del signor Wu sembra che solitudine e desiderio coesistano. Ma perché si sceglie di vivere nell’ombra?
La solitudine e il bisogno di connettersi con gli altri sembrano, a prima vista, due stati contrapposti e inconciliabili. Tuttavia, queste due dimensioni dell’esperienza soggettiva coesistono profondamente, anzi si alimentano.
La solitudine può amplificare il desiderio di relazione, spingendoci a cercare legami più profondi e significativi. Allo stesso tempo, le relazioni autentiche ci fanno confrontare con la nostra vulnerabilità: nel momento in cui ci apriamo all’altro, ci rendiamo conto di quanto sia difficile essere compresi pienamente.
A volte però accade che le esperienze di rifiuto, fallimento, o tradimento possano portare a chiudersi in sé stessi, sviluppando una paura del confronto, paura a volte talmente invalidante che non lascia altre possibilità se non quella di chiudersi ulteriormente.
Trovando nelle illusioni, nei desideri inespressi, nelle fantasie una via di fuga a quel senso di isolamento doloroso da sopportare.
Ma il bisogno di sentirsi visti e riconosciuti come abbiamo visto è sempre presente, perché ci permette di dare significato alla nostra esperienza oltre che alla nostra solitudine.
Quindi familiarizzare con il proprio senso di solitudine significa iniziare ad osservarci, significa iniziare ad essere consapevoli non solo dei nostri limiti e bisogni ma anche di quelli altrui.
Smettiamo di cercare negli altri una soluzione al nostro senso di vuoto, questo ci permetterà di vivere le relazioni con maggiore leggerezza e reciprocità, senza aspettative irrealistiche.
In questo modo la solitudine e il bisogno dell’altro diventano complementari: la solitudine ci aiuta a conoscere noi stessi, mentre la relazione e la connessione emotiva con l’altro ci arricchisce, al punto che le nostre fragilità ed imperfezioni non vengano più percepite come qualcosa di cui aver paura, qualcosa da nascondere, ma come qualcosa di unico e prezioso se viste da un’altra prospettiva.
Dr.ssa Paola Uriati