“C’erano una volta due persone innamorate… c’erano una volta perché ora non ci sono più… poco alla volta, senza nemmeno accorgersene, si sono allontanate.”
‘Meglio soffrire che mettere in un ripostiglio il cuore’ (Susanna Casciani)
Un sabato mattina di fine aprile, Anna e Tommaso smisero di vivere insieme.
Nonostante Anna non si sentisse amata da tempo, aveva continuato ad aggrapparsi a quei progetti di coppia buttati là, senza senso. Progetti fragili. Privi di basi solide. Sostenuti solo da un mondo di illusioni.
Perché Anna, a causa della sua insicurezza, continuava a fingere che tutto andasse bene, tranne quando era in bagno da sola. Dove piangeva, in silenzio.
In quello spazio, Anna entrava in contatto con la sua disperazione, con le sue speranze. Tanto per prendersi ancora un po’ di tempo dalla parola fine.
La fine, però, era già arrivata. Si, perché, oramai lo sguardo di Tommaso era uno sguardo vuoto, infelice, colmo di sensi di colpa. Uno sguardo che non lasciava spazio ai ricordi felici.
Così, quel sabato mattina, Tommaso cercò di parlarle, di dirle che era finita. Ma non ci riuscì, iniziò a piangere. Anna a quel punto, prima che venisse travolta da una sofferenza incontenibile, gli disse che l’avrebbe lasciato libero, avrebbe trovato un altro appartamento. In quel momento Anna aveva solo bisogno di correre. Indossò una tuta ed uscì.
Tre ore dopo, Tommaso non c’era più. Ancora stordita ed incredula da quell’assenza, si addormentò esausta. Quando si risvegliò “mise a fuoco nel buio quella parte di letto, così vuota, e avvertì un macigno sul petto che non la faceva respirare. Si rese conto di non essere pronta a lasciarlo andare.”
Sapeva che non avrebbe dovuto chiamarlo, inseguirlo, cercarlo.
Ma questa volta non era come le altre. Ci aveva creduto ad un futuro insieme.
In quel momento Anna si rese conto che l’unica cosa che potesse alleviare il suo dolore, uno squarcio interiore che da lì a poco l’avrebbe trascinata ( giù verso l’ignoto) in una corrente di sofferenza senza appigli, era tenere un diario.
Ed iniziò a scrivere.
22 ore dopo la fine
“Sono stata troppo me stessa, probabilmente. Dicono tutti che è così che si dovrebbe fare, ma non è mica vero secondo me. Essere se stessi va bene, ma con moderazione. A volte bisognerebbe provare ad essere anche qualcun altro, tanto per vedere l’effetto che fa.”
Anna pensava di non aver protetto abbastanza Tommaso, dalle sue paure, insicurezze, attacchi di panico, dal suo essere inadatta a tutto. Aveva messo Tommaso davanti a lei, davanti alla sua vita, rendendosi conto, solo ora, di quanto, invece, avrebbe desiderato sentirsi leggera.
14 giorni dopo la fine
“Mi dicono d’iscrivermi in palestra, a un corso di pittura, di partire per un viaggio, di voltare pagina. Mi dicono di buttarmi nelle novità, di lasciarmi andare, di godermi tutta questa libertà.”
La tristezza era l’unico sentimento che Anna sentiva.
Nelle settimane successive non aveva più voglia di uscire, di lavarsi, di curarsi. Tutti le suggerivano di voltare pagina. Ma Anna non poteva fare a meno di piangere.
In quelle lacrime si mescolavano vissuti trascorsi con Tommaso, remoti e recenti: il vuoto, i sorrisi, gli abbracci, la gioia, la spontaneità, la sofferenza, l’assenza di un progetto, la luce ed il buio.
E poi c’era quel senso di colpa che la tormentava. Pensava che se fosse stata meno fragile, più coraggiosa, più piacente, forse le cose sarebbero andate diversamente. Chissà…
68 giorni dopo la fine
Un giorno, inaspettatamente, avvertì una sensazione di leggerezza, i tratti del volto erano più distesi.
Anna si vide più bella, anche se gli occhi continuavano ad essere un po’ spenti. Si sentiva più forte, almeno era quello che credeva. Perché all’improvviso ogni volta che vedeva un ragazzo somigliante a Tommaso passava in un attimo dalla leggerezza all’angoscia. Si rese conto che doveva tornare indietro, per andare avanti.
Soprattutto, comprese che non doveva vergognarsi del suo dolore, di non voler uscire quando non ne aveva voglia, di parlare a sproposito e per interminabili minuti di Tommaso, di isolarsi, di provare rabbia, di chiedere scusa.
Quando un amore finisce è impossibile dimenticare. Devi ricordare. “Devi ricordare il bene perché tutte queste lacrime abbiano almeno un senso, per avere sempre presente che sei stata felice, per tenere a mente com’era, per non accontentarti – in futuro – di qualcosa in meno.”
110 giorni dopo la fine
Anna iniziava ad immaginare un nuovo modo di sentirsi al mondo. Più partecipe, più propositivo, più attivo, più coinvolgente, più curioso, più spontaneo, più coraggioso…
177 giorno dopo la fine
L’immagine di Tommaso iniziava a sbiadirsi. E questo suscitava in Anna molta paura.
Ogni tanto, la sera, per ricordare i suoi lineamenti, guardava alcune foto, immagini in cui erano stati felici. Non voleva lasciarlo andare perché, quel ricordo, riempiva ancora improvvisi vissuti di vuoto e di smarrimento.
Ma, con il trascorrere dei giorni, Anna riconobbe che dentro di lei stava sbocciando un fiore. Un fiore che non poteva essere ignorato. Andava accolto e custodito dal ricordo ossessivo di Tommaso. Un fiore che mentre cresceva in lei, le ricordava di continuare a vivere, di non rinunciare alla speranza. Di continuare a cambiare, facendo attenzione a non perdersi. Di continuare ad amare, ad accettare la sofferenza, a fare esperienza, di continuare a non sparire.
310 giorni dopo la fine
“Non è scritto da nessuna parte che qualcosa, solo perché è tanto bello, debba durare per sempre. Finisce tutto, finiscono anche le cose belle. L’importante è che ci siano state.”
Quando finisce un amore, inizialmente ci si sente frastornati, increduli, vuoti di significati, invisibili. Perché in quell’assenza di reciprocità scompare quell’immagine di sé che il partner ha amato, ha desiderato, ha ricercato. Un’immagine che, giorno dopo giorno, confermava quel senso di unicità personale.
Allo stesso tempo, quando finisce un amore, riaffiora quel senso di solitudine che è sempre stato in noi e nella relazione. Un’esperienza che si riappropria con prepotenza di quegli spazi interiori individuali, mentre ci si allontana da quelli relazionali.
Luoghi in cui il dolore è lacerante, luoghi in cui si perde il senso di sé. Quando finisce un amore crollano i progetti, le speranze, le certezze…
Il senso di delusione e fallimento personali sono prevalenti. Perché quei progetti e quelle aspettative, che davano valore e significato alla propria esistenza, vanno a scomparire dall’orizzonte personale.
Allo stesso tempo, però, la capacità di stare a contatto con noi stessi, per quanto sia dolorosa e incomprensibile, ci fa ri-scoprire aspetti di noi sconosciuti.
Spiragli di cambiamento e di possibilità d’essere, ancora poco definiti rischiano di poter facilmente cadere nella rete del fallimento e della chiusura.
E’ nostra responsabilità, quindi, attraverso l’ascolto attento di chi si è stati e di chi si vuole essere, svelare e rafforzare progetti personali più definiti e consapevoli.
A volte ci impediamo di rimetterci in gioco, per timore di soffrire, di ricadere in certi sbagli.
Ci illudiamo di star bene, ma, in realtà, ci ritroviamo congelati in uno spazio emotivo in cui la rabbia, la solitudine, la colpa, l’inadeguatezza ci immobilizzano, non riusciamo a riconoscere le nostre risorse personali.
Soffrire significa crescere, significa darsi delle opportunità.
Dipende anche e forse principalmente da noi cercare delle vie d’uscita da situazioni che sono ormai finite, che non accettiamo più. Per noi stessi e anche per chi ci stà vicino.
Dott.ssa Paola Uriati