“L’esistenza privata di ognuno si regge sul segreto, e forse in parte per questo l’uomo civile si dà tanto nervosamente da fare perché sia rispettato il segreto della vita privata” ‘La signora col cagnolino’ (Anton Cechov)
Durante il suo abituale soggiorno balneare a Jalta, Dmitrij Dmitric Gurov, preso dalla curiosità, inizia ad osservare una giovane donna, Anna Sergeevna.
La donna è arrivata in quella località balneare da qualche giorno.
Gurov è colpito non solo dalla sua bellezza ma, anche, dal suo “accompagnatore”: uno spitz bianco. Un piccolo cagnolino che la segue ovunque, la donna quindi è sola, ne deduce Gurov.
Donnaiolo impenitente, lui non intende lasciarsi sfuggire l’occasione di approfondire una nuova conoscenza femminile.
Si, perché Gurov, nonostante consideri le donne “una razza inferiore”, non può fare a meno di conquistarle, con le donne di diverte, si sente libero e leggero.
Quarantenne, Gurov vive a Mosca. L’avevano fatto sposare presto, durante l’università. Ed ora “sua moglie sembrava molto più vecchia di lui.”
Da molto tempo Gurov aveva iniziato a tradire la moglie. Una donna “pesante ed ottusa”.
Tre figli, la più piccola di dodici anni.
Laureato in lettere, lavorava come impiegato in una banca.
Anna Sergeevna, venti anni, viveva invece a San Pietroburgo.
Sposata da circa due anni, si è sempre sentita oppressa dalla sua breve vita matrimoniale. Voleva vivere, stava impazzendo in quella situazione di infelicità.
Al punto che un giorno arriva a fingere di essere malata e comunica al marito che vuole partire per Jalta. Sarebbe stata pochi giorni da sola, poi lui l’avrebbe raggiunta.
Nella sua innocenza, Anna, a differenza di Gurov non ha mai tradito il marito, ha sempre considerato il tradimento un gesto riprovevole e vile.
Gurov la corteggia. E tra i due inizia una relazione romantica, fatta di baci, abbracci rubati, lunghe passeggiate.
Ma Anna vive gli incontri amorosi con angoscia, si sente mal giudicata da Gurov. Piange e si disprezza per ciò che sta facendo.
Gurov invece, che ha sempre amato la leggerezza nell’adulterio, si sente quasi infastidito dalle lamentele della donna.
Fino a quando, all’improvviso, Anna riceve una lettera dal marito, ed è costretta a ripartire immediatamente.
Gurov l’accompagna al treno, e mentre il convoglio si allontana pensa fra sé e sé: “Ecco una delle tante storie che finiscono, non la vedrò mai più.”
Gurov rientra pochi giorni dopo a Mosca, e riprende la sua vita, la famiglia, il lavoro, il circolo, le chiacchierate sterili con gli amici.
Ma non può fare a meno di pensare a quell’ infatuazione estiva, che ben presto cesserà di esistere.
E’ convinto che Anna presto scomparirà dai suoi pensieri, ma, con il trascorrere dei giorni, per la prima volta nella sua vita, Gurov si rende conto di non riuscire a smettere di pensare a lei.
Le immagini di Anna si insinuano nella sua mente continuamente.
E’ ossessionato dal ricordo e dalla sensazione di lei.
E, per la prima volta, Gurov entra in crisi di fronte ad un sentimento così nuovo e coinvolgente.
Prova a confidarsi con un amico, dicendogli di aver conosciuto una “donna meravigliosa.” Ma l’amico non replica, anzi cambia addirittura discorso.
Gurov diventa sempre più consapevole di quanto la sua vita sia dominata dall’ apparenza e dalla falsità.
“ Occupazioni inutili e conversazioni sempre sulle stesse cose si portano via la parte migliore del tempo, le forze migliori, e alla fine quel che resta è una vita monca, senz’ali, una cosuccia risibile, e non si può andar via, fuggire, come si fosse rinchiusi in manicomio o in cella di rigore.”
Oramai completamente in balia dei suoi sentimenti, Gurov, decide di partire per San Pietroburgo.
E si incontrerà con Anna ad una prima, in un teatro gremito di gente.
Da quel momento Gurov ed Anna inizieranno una relazione clandestina.
Un rapporto che, agli occhi del mondo e dei propri cari, è fatto di bugie, segreti, sotterfugi.
Ma che, ai loro occhi , è fatto di verità ed autenticità.
“E per qualche strana, forse casuale coincidenza di circostanze, tutto quello che per lui era importante, interessante, necessario, quello in cui era sincero e non ingannava se stesso, che costituiva il nocciolo della sua vita, accadeva di nascosto dagli altri, mentre tutto quello che era la sua menzogna, la facciata dietro cui si nascondeva per celare la verità, come per esempio il suo lavoro in banca, le discussioni al circolo, la sua -razza inferiore-, l’andare con la moglie agli anniversari- tutto questo era apparente.”
Durante uno dei loro incontri sporadici e furtivi in una stanza d’albergo a Mosca, i due si mostrano felici di rivedersi. Ma soffrono. Non riescono ancora a vedere un futuro insieme. Tuttavia sono certi che qualcosa accadrà.
La parte più difficile stava per iniziare.
Perché i nostri sentimenti più intimi e personali si nutrono della segretezza?
Perché abbiamo bisogno di preservarli dallo sguardo dell’altro per viverli?
Davvero l’apparire e l’essere sono due dimensioni dell’esperienza così impenetrabili l’uno con l’altro?
Che costi emotivi ha nascondere i propri bisogni, sentimenti, la propria interiorità, soprattutto con sé stessi, oltreché agli altri?
Durante l’esistenza accadono esperienze in cui la dimensione di sé più segreta ed intima, necessita di uscire allo scoperto, cerca uno spazio in cui manifestarsi.
Tale dimensione può riguardare un sentimento nei confronti del proprio partner che sta cambiando, un’esigenza lavorativa che si desidera cambiare. Eventi che nostro malgrado ci coinvolgono e turbano. Ed altro ancora.
A volte si è consapevoli degli effetti di ciò che ci accade. Altre meno, o per niente.
Ma la nostra interiorità è sempre lì, che freme, che ha voglia di uscire allo scoperto.
Spesso, tuttavia, si è combattuti tra mantenere il segreto (bello o brutto che sia), o renderlo manifesto.
Come se, nel momento in cui quel segreto si manifestasse al mondo, perdessimo quell’immagine di noi che gli altri conoscono. Immagine che in parte ci ha protetto. Protetto dai giudizi, dalle delusioni.
E, a volte, anche da noi stessi, dai nostri desideri.
A volte è così: arriviamo a temere anche i nostri desideri.
Generalmente funziona così.
Ma se provassimo a far dialogare di più le nostre rispettive dimensioni private e pubbliche?
Se provassimo più spesso a farle partecipare l’ una all’altra, in maniera tale da portare ad espressione parti di noi altrimenti celate dal velo del privato?
Dare la possibilità alla nostra interiorità di esprimersi e manifestarsi, significa ri-trovarsi in un mondo di relazioni che sia più in sintonia con le nostre emozioni del momento. Significa cogliere i propri limiti, porsi degli obiettivi.
Significa avere un accesso a sé stessi più autentico ed articolato, attraverso cui costruire scenari esistenziali sempre più attenti ai propri bisogni.
Dott.ssa Paola Uriati