‘La signorina Else’ (Arthur Schnitzler)
San Martino di Castrozza. Ore 18.
Else, all’improvviso, interrompe la partita a tennis con il cugino Paul e la signora Cissy. E decide di andar via. Si sente stanca, forse c’è qualcosa che la preoccupa.
Durante il tragitto verso l’ albergo la ragazza è inebriata dall’aria fresca, quasi autunnale, il sole sta lentamente tramontando sul paesaggio circostante. Il Cimon, la vetta più alta delle Pale di San Martino, è coperta da un bagliore rossastro. Una visione che toglie il fiato ad Else, la commuove per la bellezza che emana.
Piacente ragazza viennese di appena 19 anni, Else si trova in quell’ hotel del Trentino per trascorrere un periodo di vacanza con la zia materna. Figlia di un noto avvocato con il vizio del gioco e di una donna molto attenta alle apparenze. Else ha un fratello, che vive all’estero.
Rientrata in albergo, Else coglie, all’ingresso, un’atmosfera spensierata e festosa. Un’atmosfera che tuttavia, non rispecchia il vissuto della giovane particolarmente pensieroso. Else è in attesa di una lettera espresso inviatole da sua madre, una lettera che la preoccupa molto, soprattutto per l’urgenza con cui è stata spedita. Teme sia accaduto qualcosa di grave.
Ad un tratto, mentre è ancora nella hall dell’albergo, il portiere la chiama: la lettera è arrivata.
Mentre sale nella sua stanza, la numero 77, pensa che quello è ‘numero fortunato’. Un pensiero rassicurante nel flusso di pensieri che si rincorrono in maniera sempre più affannosa nella sua testa.
Prima di leggere il contenuto della lettera Else volge un ultimo sguardo, attraverso la finestra: il Cimon è lì, davanti a lei, ancora più maestoso. Ma è giunto il momento di aprire la lettera.
La madre le comunica, con tono patetico, che se entro due giorni il padre non restituirà al procuratore la somma di trentamila fiorini, a seguito di una vicenda in cui è implicato, verrà arrestato. Ma la cosa che preoccupa ancora di più la madre è lo scandalo a cui andrà incontro tutta la famiglia.
La madre quindi, senza mezze misure, chiede alla ragazza di parlare dell’accaduto con il sig. Von Dorsday, un ricco commerciante di quadri, che attualmente soggiorna presso lo stesso hotel. Un uomo sgradevole agli occhi di Else. Von Dorsday, un tempo, aveva già aiutato il padre di Else, e lo aiuterebbe ancora per il debole che il commerciante ha sempre avuto verso quella diciannovenne.
La madre di Else, d’accordo con il padre, è convinta che se la ragazza si mostrerà ‘gentile’ con l’uomo, riuscirà ad ottenere il prestito, ed il padre si salverà, così dalla prigione.
Letta la lettera, Else viene attanagliata da un flusso di pensieri e di emozioni contrastanti.
Passa dal provare una grande vergogna solo all’idea di parlare con quell’uomo – ma in fondo, pensa, non è colpa sua – alla paura che il padre possa fare un gesto estremo. Si rimprovera, anche, di non avere un soldo, di non aver imparato nulla nella vita. Si, suona il pianoforte, conosce le lingue. Ma nulla di veramente sostanzioso.
Le emozioni oscillano dalla colpa alla rabbia. Un flusso inarrestabile di pensieri che la portano a ripercorre la sua breve e fragile esistenza.
Pensieri frammentati che riguardano il suo rapporto con i genitori dai quali non si è mai sentita vista e considerata. E da cui non si è mai emancipata.
Pensieri che la portano a prendere consapevolezza del suo destino già segnato dalle convenzioni sociali e familiari. Un destino vuoto di realizzazioni personali.
‘A Vienna riprenderò a esercitarmi con regolarità. Voglio proprio cambiare vita. Dovremmo farlo tutti quanti. Così non si può andare avanti. Parlerò seriamente con papà… purché ce ne sia ancora il tempo. Ci sarà, ci sarà. Perché non l’ho fatto prima? In casa nostra si butta sempre tutto sul ridere, anche se nessuno è in vena di scherzare. In realtà ciascuno ha paura dell’altro, ciascuno di noi è solo.’
Manca un’ora alla cena. Deve prendere una decisione, e in fretta, non può più aspettare.
‘Le cime hanno smesso di mandare fiamme. L’incanto della serata si è rotto. Il paesaggio è triste. No, non il paesaggio, la vita è triste.’
Else decide di parlare al sig. Von Dorsday. Indosserà, per l’occasione, un abito nero, che incarna la sua bellezza, la sua seduzione e vulnerabilità.
Poco prima di cena i due si incontrano casualmente nella hall dell’albergo. E mentre passeggiano in giardino, Else prende coraggio e rivela all’uomo, con estremo imbarazzo l’accaduto. Lui si mostra ben disposto ad aiutarli ed a pagare il debito. Ma ad una condizione: ‘non pretendo nient’altro da lei se non di poter stare per un quarto d’ora in contemplazione della sua bellezza.’
L’uomo a quel punto la saluta dicendole di pensarci e di dargli una risposta dopo cena.
Una richiesta che getta la ragazza in un baratro senza via d’uscita.
Il suo monologo interiore assume un ritmo incalzante quanto lo è la sua disperazione. Imprigionata nel suo mondo di solitudine e di silenzi, Else si sente ancor più lacerata dall’impossibilità di confrontarsi con qualcuno, tantomeno con i suoi genitori. ‘Ma quando mai vi siete occupati di ciò che accade dentro di me, di ciò che mi tormenta e mi fa paura? Qualche volta mi è sembrato di cogliere un’intuizione nello sguardo di papà, ma durava appena un attimo.’
I desideri di Else, i sogni, i progetti, ancora poco strutturati, iniziano a sgretolarsi.
Rimugina, mentre continua da sola a passeggiare senza una meta. Ad un tratto si sveglia, deve essersi addormentata. Si rende conto di aver sognato. Ha sognato il suo funerale, come unica possibilità di uscita dall’incubo.
Else si rende conto che la cena è già iniziata e che gli ospiti si staranno chiedendo dove sia finita.
Il sogno sembra averla tranquillizzata. Ha preso una decisione. Decisione che oltre ad acquietare il suo disagio interiore, la farà sentire finalmente libera dalle pressioni altrui.
Interessante è il monologo interiore in cui Else prende lentamente consapevolezza che le sue prospettive esistenziali sono piuttosto limitate a causa delle aspettative familiari, che hanno sempre privilegiato l’interesse e la posizione sociale, anziché supportare scelte più orientate ai bisogni personali.
Else è cresciuta in questo clima arido di riconoscimenti personali.
Un’esistenza scialba e priva di confronti. Ed è proprio attraverso il ricatto subìto come unica soluzione per salvare il padre e la reputazione familiare, che la ragazza tematizza quel senso di fragilità e di solitudine in cui ha vissuto per anni.
Fragilità che durante la crescita si è manifestata con atteggiamenti ambivalenti. Atteggiamenti che andavano dall’assecondare le richieste genitoriali, a contrapposti tentativi di demarcazione ancora poco definiti.
Else desidera muoversi con maggior autonomia. Questo è ciò che desidera. Ma ha paura delle conseguenze, in fondo, a causa della sua giovane età non ha ancora un’identità stabile e strutturata.
Nonostante ciò, però, decide di non sottostare al ricatto.
Una scelta difficile quella di Else, che si trasformerà in ‘un’uscita di scena di tutto rispetto.’
È inevitabile fare delle scelte nella vita. Scelte non sempre facili da realizzare, spesso di incerta realizzazione, anche dolorose. E per quanto si preferisca fuggire dalla sofferenza, il disagio che a volte si vive nel fare delle scelte è sempre con noi, quasi invisibile, ma sempre al nostro fianco.
La strada della fuga prende sempre percorsi apparentemente più leggeri. Ma siamo consapevoli che, prima o poi, quelle scelte si ripresenteranno in tempi ed in modalità diverse.
Riflettiamo, dunque, su cosa significa per noi affrontare le situazioni, indipendentemente dalla nostra età.
Si, perché le scelte non hanno un’età, ma sono legate ad un’identità personale, ad una storia di vita, e questa può mutare nel tempo.
La nostra identità e la nostra storia non ci guidano a fare le scelte giuste o sbagliate, ma ci orientano nell’individuare percorsi esperienziali ed emotivi più in sintonia con noi stessi e le nostre possibilità.
Dr.ssa Paola Uriati