“E quella notte fu così piena di lotta e di parole di passione, di collera e di odio, di lacrime scongiuranti e d’ebbrezza, che mi sembrò durare mille anni, e noi due esseri, che aggrovigliati sprofondavamo nell’abisso, furibondo l’uno, innocente l’altra, noi due esseri uscimmo cambiati da questo tumulto mortale, completamente trasformati, con altri sensi, con altri sentimenti.”
‘Ventiquattr’ore nella vita di una donna’,(Stefan Zweig)
Costa Azzurra. In un piccolo albergo della riviera le giornate scorrono monotone tra i villeggianti. Ma una sera la quiete viene improvvisamente interrotta da un evento.
La signora Henriette, una non più giovane donna che è lì, in vacanza con marito e figli, fugge dall’albergo assieme ad un ospite. Un giovane francese, simpatico ed attraente. Che era arrivato in riviera da un paio di giorni.
Gli ospiti dell’albergo commentano la notizia in modo riprovevole. La maggior parte è convinta che la donna lo conosceva già da tempo. E’ impossibile – pensano – che in poche ore una donna abbia deciso di lasciare la famiglia per uno sconosciuto.
L’episodio ha lasciato tutti increduli. Fino a quando, una sera, il pettegolezzo assume toni così aspri da rischiare di sfociare in una rissa tra i commensali.
Uno degli ospiti dell’albergo (l’io narrante) è l’unico a dissentire dagli altri.
L’uomo sostiene ‘che in certe ore della vita, al di fuori della propria volontà e della propria ragione, una donna può cadere sotto il dominio di qualche misteriosa potenza, il voler negare questo fatto, mostra solo paura del proprio istinto, del demonio della nostra natura’… Quelle parole inattese fanno innervosire alcuni ospiti al punto da accendere i toni della discussione. E’ l’intervento di Mrs C., ad evitare il peggio, e a riportare la quiete tra i commensali.
Mrs C. è una distinta signora inglese di 67 anni. Silenziosa e riservata, non partecipa mai alle conversazioni della tavolata. Ma quell’episodio aveva portato la donna ad incuriosirsi di questa persona che aveva difeso, con forza, la povera Henriette.
La donna era rimasta molto colpita dall’atteggiamento dell’uomo – comprensivo e non giudicante – per quella debole donna. Che, in fondo, aveva semplicemente seguito la propria volontà.
E un giorno, in prossimità della partenza dell’uomo, prese coraggio confidandogli spontaneamente un episodio accadutole molti anni prima.
Episodio che in ventiquattr’ ore le aveva cambiato l’esistenza. La donna non ne aveva mai parlato fino a quel momento con nessuno. E riteneva fosse giunto il momento di farlo, vista la sensibilità dimostrata dell’interlocutore.
All’epoca dei fatti Mrs C. aveva quarantadue anni. Era rimasta vedova da circa due anni. I figli erano ormai grandi. E lei si sentiva molto sola. Aveva trascorso i due anni di vedovanza da nomade, accompagnata solo dal desiderio di morire. Durante il secondo anno di vedovanza capitò a Montecarlo. Trascorreva spesso le serate al casinò ‘A dire il vero, vi andai proprio per cercare di distrarmi da quel vuoto terribile che, come una nausea, sale dall’interno e vuol nutrirsi almeno di piccoli stimoli che vengono dall’esterno.’…’ In momenti d’apatia in cui è negato di sentire il proprio ritmo di vita, l’appassionata irrequietezza altrui ci sostenta ancora, come il teatro o la musica.’
E proprio lì, in quel luogo, iniziarono le ventiquattr’ore che sconvolgeranno, poi, per molti anni, la sua vita.
Una sera, mentre era al casinò, stanca di osservare quei volti così inespressivi, ripensò ad una passione del marito: la chiromanzia. L’uomo sosteneva che al tavolo da gioco è più interessante osservare le mani e le gesta dei giocatori, piuttosto che soffermarsi sui loro volti. I volti si controllano, mentre nella gestualità si insinuano emozioni che serbano, sempre, sorprese.
La donna, un po’ annoiata da quella visione innaturale, abbassò lo sguardo sul tavolo della roulette. Ed iniziò a prendere confidenza osservando le mani dei giocatori. Erano mani nervose. Eccitate. Curate. Talvolta con le unghie smaltate e le dita ingioiellate. Spesso umide ed affannate.
A un tratto notò un paio di mani. Erano affusolate, curate, belle. Ma ciò che la colpì più di ogni cosa fu la passione con cui quelle dita si contorcevano, si inseguivano con energia. Come ipnotizzata, la donna alzò il volto, incuriosita da quel gesticolare affascinante ed allo stesso tempo sofferente. E lo vide. Era un giovane uomo, bello e affascinante. Il suo sguardo era solamente concentrato sulla direzione caotica che prendeva la pallina.
La donna non capiva da cosa e da chi fosse attratta. L’unica cosa di cui era certa è che non poteva staccargli gli occhi di dosso, neanche per un momento.
Per circa un’ora il giovane vinse e perse. Ogni volta che perdeva le sue mani reagivano con atteggiamenti di delusione, rabbia e disperazione. Fino a quando, disperato, perse tutto, anche gli ultimi spiccioli. Dopo l’ennesima sconfitta, si alzò di scatto. E corse fuori dal casinò. Barcollava. Era in preda alla disperazione più totale. Mrs C. lo inseguì. Temeva il peggio avendolo visto fuggire in uno stato di agitazione e prostrazione.
Nelle ventiquattr’ore successive accadde l’inimmaginabile.
Dopo un’ora durante la quale la donna cercò disperatamente di dissuaderlo dal farsi del male, si ritrovarono, quando ormai era notte fonda, in una modesta pensione ‘io stessa non ho dimenticato un attimo di quella notte, né voglio mai dimenticarla. Perché in quella notte io lottai con un uomo per la sua vita, poiché le ripeto: fu una lotta per la vita e per la morte. Con troppa chiarezza, con ogni fibra sentivo che questo sconosciuto, quest’uomo per metà già perduto, con tutta la passione, con tutta l’avidità di chi è in pericolo di morte, cercava di afferrare l’ultima salvezza! Si attaccava a me come chi sente già l’abisso sotto i piedi. Io però cercavo di salvarlo a ogni costo, con tutte le mie forze.’
Anche Mrs C. si ‘attaccò’ a lui quella notte. Quei momenti trascorsi con il giovane le fecero ritornare, dopo un periodo di buio, la voglia di vivere. Si, la sua vita riprendeva nuovamente senso. Desiderava salvarlo. E salvarsi.
Seppe, il giorno dopo, mentre pranzavano, che era un diplomatico. E che apparteneva ad una famiglia aristocratica polacca. Lui le raccontò che tutto era iniziato quando suo zio, per festeggiare il suo primo esame, lo aveva invitato alle corse. In quell’occasione lo zio aveva vinto tre volte. E lui era rimasto così entusiasta del fatto che, in pochi minuti, si potesse vincere tanto denaro, da provarci di persona.
Il suo calvario ebbe inizio così. Non riusciva più a riflettere e a controllarsi. Non esistevano più sentimenti, relazioni, amori, progetti. Esisteva solo il gioco.
Quella confessione colpì molto la donna. Il desiderio di salvarlo si era fatto sempre più crescente. E prevaleva sulle altre sensazioni che quella confessione le aveva elicitato.
Ne era certa: avrebbe salvato il giovane dalla sua dipendenza. Ad ogni costo.
Si fece promettere che, da quel momento, avrebbe smesso di giocare. Lo accompagnò alla stazione. E acquistò per lui un biglietto del treno affinché tornasse al più presto dalla sua famiglia. Il treno sarebbe partito qualche ora più tardi.
Mentre riposava in albergo, prima di congedarsi definitivamente, Mrs C. realizzò che si faceva sempre più impellente in lei il desiderio di darsi, ugualmente, una nuova possibilità.
Avrebbe desiderato fuggire insieme a lui, gettandosi alle spalle tutto, anche ciò che avrebbero pensato gli altri, i figli, la società. Avrebbe dilapidato il suo patrimonio pur di seguirlo. In pochi minuti decise di partire. Preparò in fretta poche valigie. E corse alla stazione. Ma arrivò tardi, il treno era già partito.
Il giorno seguente Mrs C. decise di cercare l’uomo nei luoghi che avevano condiviso, per rivivere, ancora una volta, quelle emozioni che l’avevano turbata. Si diresse verso il casinò, cercò con lo sguardo lo stesso tavolo. Mentre si avvicinava lo vide seduto allo stesso posto, proprio lui, il giovane diplomatico che aveva cercato di salvare dal demone della roulette la sera prima.
Lui in realtà non era mai partito. In quel momento Mrs C. fu presa da una rabbia irrefrenabile. Si fece avanti ma l’uomo, preso dal gioco, neanche si accorse di lei. Non vedeva nient’altro che la pallina carambolare nei pertugi della ruota dentata della roulette. A quel punto si avvicinò all’uomo e lo afferrò per una spalla. L’uomo, con lo sguardo perso nel bagliore del tappeto verde, la riconobbe. Ma non disse nulla, continuò a giocare, ed anche questa volta perse tutto.
Mrs C. si sentì lacerare, provò una grande amarezza e disperazione. Per la promessa non mantenuta ma, soprattutto, perché in quel momento realizzava la follia del desiderio ed della sua fuga fantasticata.
Anni dopo venne a sapere, da un membro dell’ambasciata austriaca, di un giovane, di aristocratica famiglia polacca, morto suicida a Montecarlo. Mrs C. non ebbe alcun fremito.
Mrs C. ed il giovane diplomatico, si erano incontrati in un casinò della Costa Azzurra. Non si trovavano in quel luogo casualmente.
Entrambi speravano di alleviare, davanti ad un tavolo da gioco – l’uno giocando, l’altra passando del tempo- quei sentimenti di noia, di solitudine, e di vuoto che puntualmente, si presentavano nella loro quotidianità.
Vissuti che, una sera di maggio si incontrano, si osservano, si riconoscono, si rincorrono. Ma sfuggono via ad ogni tentativo di ricerca di intimità. Sfuggono da cosa?
Mrs C. è vedova e sola. Fugge da un passato di dolore e solitudine che inizia a starle stretto. Desidera distrarsi, non sentire quella mancanza. Quando incontra il diplomatico all’improvviso si confronta con una nuova sensazione. Avverte come un fulmine a ciel sereno il desiderio di riprendere a vivere, ad amare.
In quel giovane, Mrs C. vede la possibilità di rifarsi una vita, non le interessa se condivisa ed appoggiata dai suoi familiari, né se è giusto o sbagliato. Sente solo che quella nuova prospettiva la fa sentire felice. E che le sta offrendo nuovi orizzonti esistenziali e relazionali.
Il giovane invece cerca con tutte le sue forze di aggrapparsi alla vita. Ma il gioco occupa il centro della sua esistenza vuota ed inconsistente, dove lo spazio condiviso con l’altro è assente.
Cerca la relazione. Ma non l’ afferra. Scivola continuamente in contesti in cui l’altro è sempre distante. Non vi è spazio per progetti comuni.
L’esperienza personale è vissuta nell’immediatezza, e nell’imprevedibilità del quotidiano. Nella ricerca continua di soffocare quei sentimenti, emozioni, responsabilità personali così dolorosi da guardare.
Ventiquattr’ore in cui la possibilità di incontrarsi naufraga per entrambi. La relazione naufraga. Il senso di una progettualità naufraga.
Quel vuoto originario che inizialmente li aveva avvicinati prende direzioni diverse. E così il loro destino.
Dott.ssa Paola Uriati