“ E se fino a un attimo prima ero a mio agio nel regno della scostumatezza e della provocazione, ora ero tornato all’adolescenza, al senso di vergogna, alla paura di essere inadatto in mezzo ai miei simili.” ‘Candore’ (Mario Desiati)
Martino Bux da ragazzo sfogliava riviste pornografiche. Poi, con la maggiore età, iniziò a frequentare cinema a luci rosse.
Inizialmente, dunque, immagini stampate su carta, anonime e senza storia.
Martino ne subisce il fascino. E il suo immaginario erotico si arricchisce di fantasie, sempre più vivide ed emozionanti: pizzi, reggicalze, corpetti, prendono vita, travestendosi di significati ancora acerbi. Non c’è una forma definita per quei diciotto anni che ancora non hanno una propria direzione.
Terminate le superiori Martino Bux tenta di rendersi autonomo dalla sua famiglia. E cerca di svincolarsi dalle sue origini affrancandosi da quel senso di disagio cronico, quella pesantezza del quotidiano, che lo aveva accompagnato nei suoi primi anni.
Il disagio lo avvertiva soprattutto in quel vago senso di vergogna per un passato familiare irrisolto. Il padre, nonostante una discreta integrazione sociale e professionale nel Salento, luogo dove era nato e cresciuto, non aveva mai perdonato al nonno l’abbandono della terra di origine ( l’Albania), in cerca di miglior fortuna in altra patria.
Confidava che questo disagio sarebbe stato vinto con il servizio di leva. L’autorità ed il coraggio del mondo militare lo avevano sempre affascinato. Questo fino al giorno in cui dovette prendere atto di non esserne idoneo: “questo ce l’ha tutte, non cresce più”…”pure mezzo albanese.”
E’ la prima grande delusione per lui e la sua famiglia.
Decide quindi di trasferirsi a Roma. Si iscrive all’università, scelta che riflette più le aspettative genitoriali che personali.
Ma, anziché andare a lezione, passa il tempo a sbirciare riviste porno, anche quelle gettate tra i cespugli dei viali dell’Università, sudice e maltrattate. E proprio lì, un giorno, incontra un tizio che lo invita ad andare in un locale a luce rosse, “tanto per dare un’occhiata…”.
Martino ingenuamente lo segue, e scopre così il mondo dei locali notturni.
Si mantiene facendo lavoretti saltuari, mal pagati, mentre l’Università inizia a scomparire dal suo orizzonte esistenziale.
Come il lavoro, cambia continuamente abitazione, sempre alla ricerca di un posto migliore. Case sparse in una periferia romana degradata, studenti ammassati in piccoli ambienti.
Un’esistenza sempre più instabile fino a quando incontra Fabiana. E’ un colpo di fulmine. L’innocenza e la determinazione della ragazza richiamano in Martino l’immagine di Flick Shagwell, un’attrice porno di seconda fascia.
Si amano. Ma Fabiana cerca il progetto, una famiglia, Martino, invece, cerca, semplicemente, una stabilità personale. Sono strade che fino ad un tratto viaggiano in parallelo, per poi divergere senza più incontrarsi. Sarà la noia e l’assenza di un progetto che negli anni li allontanerà sempre di più.
E così, una mattina, Fabiana comunica a Martino che ha iniziato a frequentare un’ altra persona.
Lui non fa nulla per riconquistarla. Subisce passivamente, soffrendo in solitudine, l’interruzione della loro relazione. E continua a fare lavoretti sempre più inconcludenti. Continua a cambiare casa. Vive, in definitiva, una quotidianità sempre più instabile.
Ha voglia di innamorarsi, ma i suoi desideri prendono forma solo nelle sue fantasie erotiche, spazi interiori illusori in cui ritrova effimeri rifugi e piaceri.
Martino è sempre più attratto dai locali hard. E, poi, dal porno online.
L’ innocenza e l’ ingenuità di Martino si fondono con quegli aspetti di sé più perversi, ma sempre composti. Il suo originario candore gli consente di muoversi nei mondi del porno senza esserne travolto dalla volgarità.
La sua tensione erotica crescente, come una malattia, gli permette di tracciarsi una direzione di vita più definita, trainata dai suoi desideri proibiti, ma totalmente inconsistente.
Una direzione sempre più solitaria ed inquieta, che con gli anni diventa l’unica direzione possibile.
“Col tempo la mia attitudine solitaria diventò stagnante, non c’era essere vivente che incontrassi, uomo, donna, animale, che non facesse parte dei miei film mentali, sempre pornografici, sempre sul crinale della passione che avevo in quel momento.”
Martino ha un’attrazione incontrollabile verso il mondo del porno.
Ma ciò che l’attrae, più di ogni altra cosa è la sensazione che precede l’eccitazione: il ‘desiderio’.
Desiderio che si manifesta attraverso quel moto dell’animo e della carne in cui Martino ama perdersi.
Si, Martino ama perdersi nelle sue fantasie erotiche che lo fanno sentire vivo e lo proteggono da un senso di inadeguatezza e solitudine.
Se da un lato ricerca una sua stabilità personale immaginando incontri tra il romantico e il proibito, dall’altro si ritrova in situazioni ambigue con donne rifiutanti o distanti. Un senso di stabilità che viaggia su binari emotivi fragili e inconsistenti.
Martino si muove per raggiungere una sua stabilità, che finisce, tuttavia, per essere sempre fallimentare: l’interesse per l’altro non è mai genuino. Spesso strumentale, sfugge ad una reale condivisione di significati.
L’uso ed abuso di materiale pornografico, inizialmente vissute da Martino come ricerca di sensazioni piacevoli, intriganti e cariche di gioia, nel tempo non riesce più a riscattare quel senso di solitudine.
Il desiderio, che in lui emerge dal senso di vuoto, si traveste di richiami viziosi e perversi.
Martino si illude fino alla fine di poter riempire la propria aridità affettiva, la propria insoddisfazione, il proprio defect esistenziale, con il porno, in un anelito adolescenziale di accettazione e integrazione.
Ma il ‘desiderio’ in Martino è assenza dell’altro, è mancanza di condivisione. E’ un buco nero dove lasciarsi inghiottire. Un naufragio narcisistico.
Dott.ssa Paola Uriati